Non si può negare che in questi ultimi anni abbiamo assistito ad una notevole produzione di storia locale: Comuni, Provincie ed Enti territoriali hanno spesso patrocinato storie di vario e disuguale valore, dietro la spinta di ricerche intese a ricostruire le proprie radici, con più o meno adeguati supporti documentari.
Non tutta la pubblicistica di storia locale può considerarsi, però, degna di nota o di considerazione per il fatto che, accanto a ristampe di opere del secolo scorso, spesso senza aggiornamenti o integrazioni bibliografiche, è raro rinvenire opere che aggiungono qualcosa di nuovo, frutto di ricerche archivistiche.
Eppure basterebbe tener presenti i classici moderni che in tale settore ci hanno lasciato Benedetto Croce con Due paeselli d'Abruzzo e Giustino Fortunato con La Badia di Monticchio: due classici esempi di come si possa e si debba scrivere di storia locale, una storia difficile e non di infimo ordine, che richiede una buona conoscenza storica e spirito critico.
Tale riflessione ci è venuta spontanea dopo la lettera del bel volume G. Montesano, pubblicato nella Collana Quaderni della Biblioteca Provinciale di Matera - Nuova serie n. 2, con il contributo dell'Amministrazione Provinciale di Matera - Assessorato alla Cultura di Matera.
Anche in questo caso, come in molti altri, la spinta iniziale è venuta dall'amore al nazio loco.
Ma tale nobile impulso, in questo caso, non si trasforma mai in deteriore campanilismo, per il semplice fatto che l'A. si muove, nell'arco di tre secoli, con vigile e puntuale attenzione al lungo processo storico di una comunità locale dalle origini (nel 1518) fino alle lotte politiche del Risorgimento.
Il territorio della Basilicata sud orientale, compreso tra lo Ionio, l'Agri, il Sinni e le pendici del Pollino, un tempo era coperto di boschi e pascoli.
Tra il Medio Evo e l'inizio dell'età moderna pochi erano i centri demici che spesso per vari motivi venivano abbandonati e la popolazione era costretta a trasferirsi altrove a causa della malaria, delle carestie e dei terremoti.
Le origini di Rotondella si inseriscono in quel complesso fenomeno che gli storici francesi hanno chiamato Villages disertes, vale a dire dei centri abitati che venivano abbandonati per dar luogo ad altri insediamenti territoriali. Rotondella comincia come Castrum o fortilicium, sotto la signoria dei Sanseverino nel 1518, in una zona del territorio di Favale (Valsinni) e la Difesa di Rotonda.
I primi abitanti, secondo una testimonianza scritta dell'Arciprete di quella Terra, furono alcuni ufficiali dei Sanseverino là destinati per la riscossione delle fide delle difese di Rotonda e Trisaia.
Lo sviluppo di Rotondella, in termini demografici, è lento ma continuo nel corso del '500 e del '600, per alcuni incentivi escogitati dai signori feudali che si avvicendarono nella zona, dai Sanseverino agli Agnese, i quali ultimi, con la concessione del diritto di casalinaggio e con i prestiti di sementi senza interessi ai coloni riuscirono ad attirare un buon numero di contadini e ad incrementare la popolazione nel nuovo sito, non solo ma le possibilità di sfruttamento dell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame aprirono nuove prospettive anche a piccoli mercanti, anche extra regionali, molti dei quali si accasarono a Rotondella per praticarvi il commercio della bambagia che si coltivava a Caramola e l'estrazione dei grani verso la Capitale.
Tra gli altri è nota anche, negli Stati d'anime e nei Fuochi, la presenza di mercanti provenienti da Giffoni Principato Cipra - un centro notevole di lavorazione ed esportazione della lana - alcuni dei quali, come Fortunato, fissano la loro dimora in quel luogo sin dalla fine del '500, dando inizio alla penetrazione in Basilicata di quella famiglia di mercanti ed agricoltori, che riprenderà, poi, nella seconda metà del '700 in un'altra zona (Rionero - Melfi) con i diretti antenati di Giustino Fortunato.
Le successioni feudali in Rotondella, da Astorgio Agnese (nobile napoletano che aveva acquistato quella Terra nel 1538) al figlio Fabrizio e al nipote Astorgio Junior, a Girolamo Callà e suoi successori fino all'abolizione della feudalità nel 1806, sono delineate con una buona documentazione tratta dall'Archivio di Stato di Napoli prendendo lo spunto dalle mire feudali esercitate nella vicina Terra di Favale, l'A. si sofferma anche sulle vicende della famiglia Morra che ivi deteneva la baronia civile (l'esilio di Giovanni Michele, le devastazioni del territorio dopo il 1545 per la ricerca e l'arresto dei figli di Giovanni Michele e dei fratelli responsabili dell'uccisione di Isabella Morra, del pedagogo e di Diego Santoval de Castro) con puntualizzazione degna di nota soprattutto per sfatare quell'alone di leggenda che spesso viene riproposto alla figura dell'infelice poetessa di Valsinni.
Favale, poi, nel '600, è uno dei focolai strettamente collegato alla rivolta di Masaniello in Basilicata che ebbe, come è noto, il suo capo in Matteo Cristiano di Castelgrande. Degli eventi del 1647-48 l'A. ricostruisce, sulla base di fonti finora poco note agli studiosi i momenti salienti e la loro tragica conclusione nel quadro complessivo della Basilicata di allora, con riferimento ai moti di Miglionico, Montescaglioso, Grottole, Bernalda, Carbone, Lagonegro, culminati nell'uccisione del locale feudatario a Latronico e a Balvano.
Il '700 per Rotondella è il secolo della ripresa economica e demografica, con le prime famiglie borghesi, con l'espansione edilizia civile e religiosa, con il primo maestro di scuola nel 1740, con l'impianto del Catasto onciario, con un numeroso clero ricettizio nella Chiesa Madre, restaurata ed ampliata. In tale contesto emerge la famiglia degli Albisinni, medici-speziali inseriti nella comunità locale intorno al 1656, che assume un preponderante potere sulla falsa riga dei precedenti signori feudali.
Il 1799, con l'aspro scontro tra Giacobini e Sanfedisti, sconvolge la vita sociale e politica di Rotondella e pone le premesse delle lotte che preludono alla formazione delle fazioni e partiti locali: dai Carbonari alla setta dell'Unità Italiana, ai primi tentativi anti borbonici culminati, poi, nella spedizione di Carlo Pisacane.
L'ottocento a Rotondella è dominato dalle controversie per le terre demaniali, da tenaci scontri tra le famiglie emergenti in lotta fra loro per l'egemonia nell'ambito dell'Amministrazione Comunale che vede ora contrapposti i Rondinelli agli Albisinni.
L'A. non trascura gli aspetti della vita quotidiana e dedica ampi spazi all'attuazione di lavori pubblici come l'ampliamento della Chiesa Madre, la ricerca di acqua potabile con la costruzione dell'acquedotto, la localizzazione del nuovo Camposanto e la relativa strada di accesso.
Non si tratta soltanto di note di cronaca locale desunta direttamente dall'archivio comunale, ma direi piuttosto di alcune pennellate ben dosate per dare al lettore il quadro completo di una comunità che cresciuta sul piano demografico punta a dotarsi di strutture indispensabili alla vita e al progresso degli abitanti.
La narrazione si ferma quasi al tramonto del regno borbonico e arriva fino alla vigilia dell'unificazione nazionale che l'A. rinvia ad una ulteriore trattazione, che si augura di portare presto a compimento.
Tra le storie locali, relative alla Basilicata che ci è stato dato di leggere in questi ultimi tempi, il lavoro di Montesano si distingue soprattutto per la puntuale e sicura utilizzazione delle fonti elencate opportunamente nell'appendice (dell'Archivio di Stato di Napoli, di Potenza, di Matera, del Comune di Rotondella, dell'Archivio Battifarano versato nell'Archivio di Stato di Potenza), in cui risulta pure una nota di misure e monete oltre che un glossario di termini di non facile comprensione per lettori non addetti ai lavori (adoa, antefato, banatenenza, difesa, ecc.).
Antonio Cestaro - prof. storia moderna
Università Salerno
Rivista rassegna storica lucana nn.25-26 a. 1997